Meno male che il titolo era "ballast ....... domandine" bene forse è meglio che faccio un passo indietro e provo a spiegare come funziona un tubo fluorescente, ovviamente non è tutta farina del mio sacco, non me ne vogliano i vari autori se non li cito ma sarebbero tanti e, basta pensare che il fenomeno del neon si cominciò a studiare già nel 1600 ma solo nel 1912 fu costruita la prima lampada fluorescente.
vedi fig. tubo
una lampada fluorescente è una sorgente luminosa “ a scarica in gas “. La luce viene prodotta dallo scoccare di un arco tra elettrodi di tungsteno collocati all’interno di un tubo contenente mercurio e gas nobili a bassa pressione (facilitano la produzione dell’arco essendo tra i gas quelli che conducono per più basse tensioni e riducono l’evaporazione dei filamenti di tungsteno).
La scarica può essere innescata o da un elevata tensione ai capi del tubo, nel qual caso si parla di lampade a catodo freddo, o da una tensione più bassa agevolata però da un pre-riscaldamento degli elettrodi, nel qual caso si parla di lampade a catodo caldo.
La tensione ai capi del tubo prima della scarica ionizza il gas (elettroni liberi e ioni), aumentando le sue capacità conduttive.
Una volta che si è innescato l’arco, che col suo calore fa anche evaporare la piccola quantità di mercurio presente nel tubo, il catodo comincia ad emettere elettroni che vengono attirati dall’anodo.
Nell’attraversare il tubo gli elettroni collidono con gli atomi di mercurio e, se l’energia trasportata è sufficiente, li ionizzano.
Quando gli atomi ionizzati perdono la loro energia tornando allo stato fondamentale lo fanno attraverso una transizione radiativa (emissione di fotoni), durante la quale gli elettroni passano ad un livello orbitale meno energetico.
Attraverso la relazione di Plank E = hv è possibile stabilire la frequenza, e
quindi la lunghezza d’onda, dell’onda elettromagnetica prodotta nel passaggio degli elettroni dallo loro stato energetico eccitato a quello stabile (con E differenza di energia tra orbitale dell’elettrone eccitato e quello dopo la transizione).
Tipicamente gli atomi di mercurio emettono a 253.7 nm, cioè nell’ultravioletto:
questi fotoni a loro volta colpiscono il fosforo del rivestimento interno del tubo dando luogo all’emissione di fotoni nel "range" del visibile; il fosforo in pratica funge da convertitore di luce ultravioletta in luce visibile.
Dal punto di vista elettrico il tubo fluorescente è certamente un dispositivo molto più complesso delle lampade a incandescenza.
Innanzitutto per funzionare richiedono un circuito ausiliario che svolga le seguenti funzioni: fornisca fra gli elettrodi una tensione sufficiente a provocare l’arco e mantenga costante la corrente che scorre all’interno della lampada.
vedi fig. circuito
La prima funzione è svolta di solito dallo starter, montato in parallelo al tubo; la seconda funzione, invece, è realizzata da un’induttanza connessa in serie al tubo.
Lo starter è composto da un contatto bi-metallico, racchiuso in un involucro di vetro, riempito con una mistura di gas il cui principale componente è il neon.
Lo stato in cui si trova normalmente lo starter è di interruttore aperto. Quando viene applicata la tensione di linea al circuito questa cade interamente sul parallelo del tubo (impedenza molto alta) e del trigger bi-metallico. La tensione ai capi del trigger è quindi sufficientemente alta da ionizzare il gas neon all’interno dello starter, i contatti bi-metallici si scaldano nella dilatazione che ne deriva si toccano chiudendo il circuito; la corrente comincia così a fluire, de-ionizzando il gas dello starter ma riscaldando anche i filamenti del tubo.
Funzionamento dello Starter
vedi fig. starter
Questo riscaldamento dei filamenti è uno dei punti essenziali dell’efficienza di questa tipologia di lampade a scarica: i filamenti della lampada durante il pre-riscaldamento aumentano la loro temperatura e per effetto termoionico aumentano la loro emissione di elettroni liberi all’interno del gas. Gli elettroni liberi insieme alle particelle che avranno ionizzato rappresentano una miscela ideale (plasma) per far avvenire un arco più efficiente e con più basse tensioni ai capi del tubo.
Una volta de-ionizzato il gas dello starter, i contatti si raffreddano, si restringono e il circuito torna ad aprirsi; tutto ciò provoca una variazione di corrente molto brusca nell’induttanza che per la legge di Lenz risponde con un picco di tensione che va ad innescare l’arco nel nostro tubo fluorescente.
Una delle particolare caratteristica dei tubi è la resistenza dinamica negativa, ovvero all’aumentare della corrente che attraversa il tubo la tensione ai capi diminuisce (più passa corrente e più il gas si ionizza e più diventa conduttore).
Per questo motivo è necessario un dispositivo in serie alla lampada ne limiti la corrente. L’induttanza (chiamata anche reattore o ballast) assolve questa funzione, facendo in modo che la tensione applicata ai capi del tubo a circuito aperto sia in grado di innescare l’arco, cosicché la corrente possa fluire fra gli elettrodi ed innescare il fenomeno della fluorescenza. Ciò può avvenire o con un alta tensione applicata agli elettrodi, oppure
con una tensione minore se l’emissione degli elettroni viene facilitata da un pre-riscaldamento dei filamenti.
Una volta accesa la lampada l’induttanza provvede a limitare la corrente nel tubo (grazie alla sua azione inerziale rispetto alla corrente).
In termini di qualità di luce le lampade fluorescenti offrono più opzioni di qualunque altro tipo di sorgente luminosa.
Recentemente è diventato possibile aggiungere rivestimenti in tecnologia trifosforo che consentono di controllare in modo preciso la generazione dei colori primari della luce. Grazie a questa tecnologia sono state sviluppate lampade ad alta efficienza in una vasta gamma di TdC, caratterizzate da un ottimo IRC.
Infatti, una delle caratteristiche peggiori di questo tipo di lampada, soprattutto nelle versioni più economiche, dove il rivestimento del vetro è fatto con un solo alofosforo, è un basso IRC intorno ai 65

; ciò è dovuto soprattutto alle caratteristiche spettrali poco omogenee della luce emessa da tutti i tipi di lampade ad arco. Il singolo rivestimento alofosforico già migliora nettamente la distribuzione spettrale, consentendo anche una certa flessibilità nella scelta di sorgenti bianchissime (Daylight)
tipiche dei tubi (con TdC prossima a quelle del sole, 5500 K) o sorgenti più calde (Warm White) ottenute con particolari alofosfori che riescono a dare una risposta spettrale più simile a quella della lampada ad incandescenza.
Risultati ottimi si raggiungono però solo combinando la tecnologia degli alofosfori con quella dei trifosfori.
In questo caso l’output spettrale può essere regolato in modo da produrre TdC calde, medie, fredde.
Il rivestimento di trifosforo crea potenti bande d’energia spettrale nei colori
primari in modo da assicurare un elevato IRC unito alla capacità di rendere i colori in modo eccellente.
Queste lampade si presentano con gli enormi vantaggi di avere un’efficienza tra 60 e 110 lm/W ed un tempo di vita medio che va oltre le 10000 ore. Da un punto di vista energetico rappresentano un’ottima soluzione.
e se non vi ho annoiato vi dò appuntamento alla prossima puntata
ciao a tutti maurizio