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Originariamente inviata da TuKo
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Faccio una piccola premessa(ammettendo il mio esser prevenuto) io penso fortemente che quando un cinese e/o giapponese(che pur avendo culture differenti come lo è l'inclinazione degli occhi,sono molto simili come filosofia comportamentale) ti fa l'inchino di rivenreza,in realtà stia solo facendo stretching ai lombari,perche da li a poco ti si inc..a.Detto ciò mio caro condormannaro, penso che ti stai infilando in un qualcosa che sia difficilmente difendibile,per quanto tu possa esser preparato in questa direzione.
Sicuramente estremizzare il concetto, che tutta la lora economia è basata(quindi vincolata) sulla loro popolazione detentiva è errato,ma è fuor di dubbio che un pesante apporto di quest'ultima c'è.
La Cina purtroppo(per noi) adotta un sistema di produzione che viola palesemente ogni regola del buon lavoro(es.:vedi orario,ferie,ect..ect....),questo ne fa un leader per quello che riguarda il lavoro di manovalanza(n.d.r visto che, anche altri paesi del sud-est asiatico adottano questa filosofia mi viene da pensare che sia un qualcosa che esula dall'esser cinese).Ovviamente questa loro "filosofia" va a discapito degli altri paesi, che hanno una regolamentazione del lavoro consona all'individuo.
Quello che di cui stiamo parlando è una delle tante caratteristiche per cui questo paese si sta rendendo antipatico agli occhi del mondo.Ovviamente evito la loro citazione in quanto porterebbero fortemente il 3d OT,mi basta pensare che sia ben chiaro il concetto di "pluralità di antipatie"(concedimi il termine).
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Gentile Tuko,
che in Cina, come (e probabilmente meno che) in altri paesi, la posizione del lavoratore non goda delle medesime tutele di cui gode in occidente, è questione fuori discussione.
Quello che mi preme fare è solo stimolare la riflessione, mia e altrui.
Il mio sospetto, ma probabilmente dovrei parlare di fondato sospetto, è che tutta questa attenzione, questa "antipatia", come giustamente la definisci, questa forte disinformazione, tutt'altro che casuale, sia dovuta al fatto che, per la prima volta, un Paese comunista ci pesta i piedi sul nostro terreno. Se la Cina non fosse comunista, se avesse mandato i suoi contingenti in Iraq, se scattasse sugli attenti ogni volta che gli Stati Uniti chiamano, qualcosa mi dice che la sua immagine, a parità di condizioni, sarebbe ben diversa.
Del resto Cuba non ha mai preoccupato nessuno. Lo Yemen men che meno. L'Unione sovietica sì, ma per motivi diversi. Non scendeva sul nostro campo, ma operava in modo completamente avulso, separato.
La Cina invece, colpo di scena, opera di fino, lavora di fioretto. Ci spiazza. Resta infatti comunista, ma cresce economicamente, e lo fa migliorando la vita dei propri cittadini, e non a loro discapito (non ci vuole molto per verificare, basta farsi un viaggetto e leggersi qualche testo per avere un'idea su come si viveva in passato - suggerisco per chi fosse interessato il libro "Cigni selvatici" di Jung Chang, che nonostante il pessimo titolo, e l'impostazione antiregime, rende bene l'idea di quello che è stata la Cina, per poterla poi confrontare con la situazione attuale).
E soprattutto, orrore degli orrori, osa scendere sul nostro terreno. Sfidarci sul nostro campo, facendoci sfrontatamente concorrenza (certamente sleale per molti versi, ma è leale alimentare il proprio sistema produttivo con l'approvvigionamento di materie prime indispensabili attraverso campagne belliche o favorendo l'instaurazione di dittature compiacenti, oppure non aderendo a protocolli internazionali di tutela dell'ambiente, in modo da non limitare le emissioni inquinanti dei propri impianti - vedi Kyoto?)
Questo, in un mondo che ha condannato il comunismo alla dannazione eterna, è inaccettabile, insostenibile ed intollerabile. Occorre una spiegazione. Qualunque, pur di fugare dalle nostre menti anche solo il remoto pensiero, la balzana idea, che un sistema del genere possa funzionare. Ed ecco che i tipici drammi dei paesi in ritardo di sviluppo (civile), comuni a decine di altri stati, diventano secondo questo curioso modo di pensare l'unica ragione di un successo: le condanne a morte, lo sfruttamento del lavoro, i lavori forzati, i reati di opinione.
Tutto pur di non riconoscere che il mostro rosso, il comunismo, possa avere in qualche misura successo, possa in qualche modo contribuire, in un paese enormemente grande e popolato, al miglioramento delle condizioni di vita di un popolo. E' una cosa che non si può non solo dire, ma neanche pensare.
Alla massa bisogna dare delle spiegazioni semplici, di pronto uso e consumo, facilmente replicabili e diffondibili. Spiegazioni di moda che, come tutti gli inganni popolari, hanno una parte di verità: la compressione dei diritti umani, i limiti alle nascite, il regime penale ecc.
La Cina è un posto curioso, con forze innovative e forti spinte conservative. La tendenza sembra tuttavia quella dell'impiego di un sistema produttivo diverso, e certo non solo per gli aspetti normativi riguardanti il lavoratore, per raggiungere il fine ultimo di ogni paese: il migliioramento delle condizioni di vita della gente.
Si stanno avvicinando piuttosto rapidamente a quelle che per noi sono tradizioni, nemmeno tanto vecchie.
In Cina esiste un forte turismo. La gente va in vacanza. A milioni. Si compra i cellulari, comincia a comprarsi le macchine. Va in discoteca. Non muore di fame.
E' vero che queste cose in un paese normale dovrebbero essere scontate. In questo caso però stiamo parlando di un paese con oltre un miliardo di abitanti. Già solo impostare un sistema di produzione che li possa sfamare, è impresa titanica.
Noi siamo abituati a ragionare su altri numeri. Su altri problemi. Occorre elasticità e riflessione per avvicinarci e capire.
Una volta Mao disse ad Andreotti una frase rimasta nella storia, e che esemplifica la particolarità del pianeta Cina: " Il problema è che se anche avessi il consenso del 99% della popolazione, rimarrebbero ben 10 milioni di scontenti".
Con quei numeri, occorre cautela.
La tutela dei lavoratori, a dir poco sacrosanta ed auspicabile, verrà con il tempo. Come è normale ed inevitabile che sia. Già oggi le condizioni del lavoratore cinese sono enormemente migliori non solo di quelle dei tempi del "grande balzo in avanti", o della "rivoluzione culturale", ma anche di soli dieci anni fa.
Pretendere addirittura che oggi la tutela sia simile alla nostra, mi sembra francamente fantasioso e scollato dalla realtà. Come se poi noi avessimo secoli di tradizione garantista alle spalle, quando fino a settanta anni fa avevamo un regime che prevedeva le corporazioni e non i sindacati, e fino al 1970 non esisteva lo Statuto dei lavoratori.
La Cina non è un'ostacolo al nostro sviluppo ma, anzi, un'occasione ghiotta, per chi ha la lungimiranza di coglierla, per avere un nuovo enorme mercato di sbocco a dei prodotti, i nostri, che hanno oramai saturato i propri mercati di riferimento. Diversificare, affrontare nuove sfide, aprirsi invece di additare.
Devo dire che al MEF (Ministero Economia e Finanze) e al MSE (Ministero Sviluppo Economico) sembrano averlo capito. Vedremo se ne saranno capaci.
Del resto, se veramente si auspica un miglioramento delle condizioni di lavoro in Cina, come in tanti altri paesi con problemi ben peggiori, la via maestra non credo sia la criminalizzazione, spesso motivata da riserve politiche o ideologiche, e altrettanto spesso falsa, ma la condivisione, l'apertura, la collaborazione.
Per capirci: se la Mattel, tanto per essere d'attualità, apre uno stabilimento in Cina ed applica condizioni migliori degli altri ai propri dipendenti, e poi lo fa anche la Microsoft, e la Philips ecc, si innescherà con il tempo un processo inarrestabile di miglioramento.
Seppur con qualche resistenza, con qualche approfittamento tipicamente occidentale, e con qualche abuso tipicamente orientale, é ciò che sta già accadendo...
A presto