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Vecchio 23-01-2010, 22:48   #1
Entropy
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[PIANTE/CHIMICA] La Fotosintesi in acqua

Con questo topic vorrei cercare di approfondire (almeno parzialmente) tutto ciò che riguarda e che ruota intorno alla fotosintesi in acqua(rio), analizzando le diverse variabili che intervengono in questo processo, le relazioni che intercorrono con la fisiologia e la morfologia delle piante ed i parametri su cui poter agire.
Riprenderò alcuni discorsi e argomenti già trattati in AP nel corso degli anni e ne aggiungerò di nuovi.
Ogni tanto farò riferimento a nozioni “accademiche”, almeno quel tanto che basta per far comprendere i meccanismi che si celano dietro la crescita di una pianta (mi riferirò comunque, salvo indicazione, solo ai processi di fotosintesi delle piante superiori, compresi muschi, felci ed alghe verdi).
La fotosintesi, come ovviamente molti di voi sanno, è la sintesi di composti organici partendo da composti inorganici, attraverso l’energia luminosa (quella del Sole, se parliamo di Madre Natura), con un’efficienza di conversione da energia luminosa ad energia chimica del 27% (può non sembrare, ma è un valore assai alto).
La formula, che tutti noi, prima o poi, abbiamo incontrato a scuola, è la seguente:
6CO2 + 6 H2O + luce --> C6H12O6 + 6 O2
In realtà, il glucosio non è il vero prodotto finale della fotosintesi (ma lo sono i triosi fosfato) ma la sua energia è comparabile.
Per semplificare la formula, possiamo scrivere:
CO2 + H2O + luce --> (CH2O) + O2
Per far procedere questa reazione servono in teoria 467 KJ/mol, in pratica 9-10 fotoni di luce (circa 1760 KJ/mol, se consideriamo una lunghezza d’onda di 680 nm), con una conversione appunto del 27% ([467/1760]x100). La maggior parte di questa energia accumulata serve per il sostentamento della pianta e solo una piccola porzione per l’aumento di biomassa.
Ora, la fotosintesi delle piante si divide in 2 fasi: una in cui l’acqua si ossida a ossigeno e si produce energia (sotto forma di molecole di ATP e NADPH) e un’altra in cui avviene la riduzione del carbonio (utilizzando l’energia prodotta dalla prima fase).
La prima fase (''reazioni alla luce della fotosintesi''), utilizza appunto la luce per produrre energia : l'H2O viene ossidata in O2 (è dall'acqua che viene l'ossigeno e, per produrlo, alla pianta basta letteralmente un lampo di luce) per cedere gli elettroni al fotosistema II e al fotosistema I, due fotoreazioni collocate nelle membrane tilacoidali dei cloroplasti. Tali fotosistemi producono energia chimica assorbendo la luce nel rosso (680 nm, fotosistema II) e nel rosso lontano (700 nm, fotosistema I) grazie ad un particolare pigmento collocato nel centro di reazione, la clorofilla a. La clorofilla è quindi quel meraviglioso pigmento fotosintetico responsabile dell’assorbimento e l’utilizzo dell’energia luminosa. Chimicamente parlando (e semplificando), la clorofilla è un anello porfirinico con al centro un atomo di magnesio e con una lunga “coda” idrocarburica che serve alla molecola per ancorarsi alla porzione idrofoba della membrana. Oltre alla clorofilla a, si conoscono anche le clorofille b, c, d, ed e, a cui si devono aggiungere le batterioclorofille (a,b,c,d,e,f,g) tipiche di alcuni procarioti (= batteri) e gli altri pigmenti fotosintetici, quali carotenoidi (presenti in tutto il regno vegetale) e ficobiliproteine (nelle alghe rosse e nei cianobatteri). Le clorofille a e b sono presenti in tutte le piante superiori, nei muschi, nelle felci e nelle alghe verdi. La clorofilla a è presente anche nelle diatomee, dinoflagellati ed alghe brune (che hanno anche la c) e nelle alghe rosse (che hanno anche la d).
Le clorofille diverse dalla a (ma anche la a, quando non è coinvolta nei centri di reazione) ed i carotenoidi servono da pigmenti antenna, cioè assorbono l’energia luminosa (a diverse lunghezze d’onda) e la convogliano tutta ai centri di reazione, dove la clorofilla a la converte in energia chimica. Dalla figura 8.6 si evince che ogni pigmento ha un proprio e diverso spettro di assorbimento, cosicché l’insieme dei loro spettri copre una porzione più completa dello spettro solare (Fig. 8.3), con un’efficienza termodinamica migliore. In realtà, i carotenoidi hanno anche un importante funzione, quella di fotoprotezione. Cioè i carotenoidi fungono da valvola di sicurezza, scaricando l'eccesso di energia luminosa (perché non utilizzata dal processo fotochimico), prima che questa possa seriamente danneggiare la pianta. Infatti se lo stato di eccitazione della clorofilla non viene trasferito rapidamente o utilizzato per la fotosintesi, l'energia in eccesso reagisce con l'ossigeno molecolare provocando il cosiddetto ''singoletto d'ossigeno'', cioè uno stato eccitato dell'O2, in grado di fare parecchi danni alla cellula vegetale. i carotenoidi evitano questo, estinguendo il surplus di fotoni luminosi e liberando l'energia sotto forma di calore. Infatti, è per questo che le piante si colorano di rosso se fortemente illuminate. Per difendersi. Tant’è che i carotenoidi vengono accumulati dalla pianta anche in organuli appositi, chiamati cromoplasti. E a volte accade che un improvviso deterioramento dei cromoplasti e dei carotenoidi al loro interno, renda la foglia vulnerabile agli attacchi della troppa luce, “bruciandola” letteralmente (per colpa dei ''singoletti d'ossigeno''). I sintomi sulla foglia possono essere macchie bianche, gialle o verde molto chiaro, che successivamente si tramutano in buchi. La causa del deterioramento di cromo e cloroplasti può dipendere da vari fattori, ma le più probabili cause sono 2. La prima causa è genetica, in quanto capita spesso che le piante mutino (genicamente o cromosomicamente, e la forte luce può fungere da catalizzatore....); spesso non ce ne accorgiamo, oppure sono mutazioni che la pianta riesce a riparare. La seconda causa può derivare dall'attacco di un virus, che fa di questi ''scherzi''. Tant'è che le variegature virali sono spesso utilizzate, rendendole prima inoffensive, per la creazione di varietà particolari di fiori e piante (foglie o fiori screziate di bianco o rosso).
Tornando ai fotosistemi I e II, l’energia da loro catturata viene immagazzinata sotto forma di ATP (adenosintrifosfato) e NADPH, delle vere e proprie monete energetiche.
Monete che vengono spese nella seconda fase della fotosintesi, chiamata ''reazione al buio'', perché la luce non è direttamente coinvolta (e non perché avvenga di notte, ndr). In questa seconda fase appunto, l'ATP viene utilizzato per la riduzione fotosintetica del carbonio (sotto forma di CO2) in zuccheri (saccarosio e amido), che vanno a costituire le riserve energetiche della pianta, per la sua crescita ed il suo sostentamento. Questa fase è detta anche ''Ciclo C3'' o ''Ciclo di Calvin''.
Nella respirazione, invece, (comune anche a noi animali) i zuccheri prodotti vengono ossidati (attraverso i processi di glicolisi, il ciclo di Krebs e la catena di trasporto degli elettroni) per produrre energia (sempre sotto forma di ATP), rilasciando CO2 e H2O.
Questo processo quindi è identico in tutti gli organismi eucarioti (cioè tutti, batteri esclusi).
Il regno vegetale, però, possiede un processo particolare (il cui reale significato biologico è ancora tutto da chiarire e dimostrare....), collegato strettamente (ne è parassita) alla fotosintesi, cioè la fotorespirazione.
La fotorespirazione, chiamata ''PCO'' o ''Ciclo C2'' è un processo che lavora in antitesi alla fotosintesi e consiste in una ossidazione (anzichè riduzione) del carbonio, con relativo consumo di O2 e produzione di CO2.
In pratica succede questo. Nel ciclo C3, la carbossilazione del ribulosio1,5-difosfato (che porta alla produzione di zuccheri) è catalizzata da un particolare enzima : la Rubisco (di sicuro l'enzima più abbondante sulla Terra, nonché il più prezioso). Questo enzima risulta particolare perché può catalizzare anche l'ossigenazione (oltre alla carbossilazione) dello stesso ribulosio1-5,difosfato, utilizzando O2 per produrre ATP (e CO2 come sottoprodotto). Il fatto che la Rubisco possa catalizzare entrambe le reazioni, porta ad una diminuzione nell'efficienza termodinamica della fotosintesi. Fortunatamente, dei 4 atomi di C sottratti dalla fotorespirazione alla fotosintesi, ne ritornano 3 (1 è perso come CO2).
Il bilancio produttivo tra fotosintesi e fotorespirazione, dipende dal rapporto tra le concentrazioni di CO2 e O2 e dalla temperatura. Cioè, più è basso il rapporto [CO2]/[O2], più è favorita la fotorespirazione. E poiché, più aumenta la T, più diminuisce il rapporto CO2/O2, ne deriva che all'aumentare di T, aumenta la fotorespirazione sulla fotosintesi.
Per inciso, in una soluzione acquosa a 25°C, il rapporto CO2/O2 è di 0,416 e la carbossilazione (fotosintesi) prevale sull'ossigenazione (fotorespirazione) per un rapporto di 3:1.
Da notare che le piante, in acqua, si affidano ad una ''pompa di CO2'', per concentrare questa nel sito di carbossilazione (ed anche evitare così il più possibile la fotorespirazione).
Tutto questo in normali e naturali condizioni ambientali. Ma se l'ambiente si fa estremo (come l'ambiente artificioso di acquari “spinti”) allora i meccanismi possono saltare. E un ambiente troppo ossidante (com'è quello saturo di ossigeno di una vasca in “pearling”) può portare alla formazione di radicali liberi (come il superossido O2- appunto, o il singoletto d'ossigeno o il radicale idrossilico). Senza contare che ci sono alcune molecole che aiutano questo processo ossidativo. Ad esempio il ferro bivalente (Fe2+) reagisce con O2 producendo superossidi (Fe2+ + O2- --> Fe3+ + O2-) e con H2O2 producendo i non meno pericolosi radicali idrossilici (Fe2+ + H2O2 --> Fe3+ + OH + HO-). Però anche qui le piante cercano di difendersi: infatti esse assorbono quanto più ferro bivalente possibile (perché indispensabile alla fotosintesi), ma per evitare che il surplus nelle foglie produca radicali liberi, lo immagazzinano (ossidandolo), attraverso una proteina di stoccaggio chiamata fitoferritina.
Comunque, come detto, tutto questo si fa più evidente e probabile in acquari molto "spinti", cioè con molta ma molta vegetazione, parecchia immissione di CO2 e continua somministrazione di fertilizzanti nella colonna d'acqua. Tant'è che in tali acquari risulta molto di aiuto la misurazione dei potenziali redox ed il mantenimento di un ambiente riducente (per il potenziale redox ed il suo significato, vedere i due topic relativi in Approfondimenti….)
E per questo inoltre che alcune case, tempo fa (ma forse ancora ora), proponevano la famosa interruzione del fotoperiodo, per far crescere meglio le piante e scongiurare il pericolo alghe (sempre in acquari “estremi”). Infatti, ponendo la vasca temporaneamente in penombra, non facciamo altro che fare in modo che l'O2 venga consumata ed il rapporto CO2/O2 si ''riassesti'' per ottimizzare al meglio la fotosintesi.
Ma tutto questo, vale per le piante come per le alghe. Quindi tale metodo può servire per migliorare ULTERIORMENTE la crescita delle (molte) piante, quando queste sono già in forma e le condizioni ambientali sono “dopanti” (tanta luce, tanta CO2, tanta fertilizzazione……). Ma non serve assolutamente per sconfiggere le alghe o guarire piante malconce.
Riguardo la durata del fotoperiodo, questa è in stretta relazione con il tipo di acquario, con le specie e la quantità di piante considerata, con la disponibilità di CO2 ed anche, più che la potenza (poco indicativa), con la densità di flusso fotonico (o velocità di fluenza fotonica) espressa come unità di moli su m2 al secondo (gli strumenti che misurano tale grandezza si chiamano sensori quantici, ndr). Per dare una misura, la densità di flusso fotonico in piena luce solare è di circa 2.000 micromoli m-2s-1. Ad esempio, in un classico acquario “olandese” ci sono molte piante e presumibilmente esigenti di luce (come le rosse ad esempio) che vogliono (o possono avere) fotoperiodi più lunghi delle 8-10 ore solite, riuscendo a sfruttare, quindi, anche le 12 ore. Ma sempre che ci sia sufficiente CO2 da utilizzare.
Infine, non possiamo parlare di fotosintesi in acquario senza fare una distinzione nell’assimilazione della CO2 tra le piante acquatiche e quelle terrestri, con differenze nella morfologia, nell’anatomia e nella fisiologia. Per piante acquatiche io intendo, oltre a quelle strettamente acquatiche (Ceratophyllum, Egeria, Myriophyllum, Vallisneria,…) anche quelle specie che, se sommerse, riescono a modificare la propria struttura (anatomica e fisiologica) alle condizioni di vita sommersa (Echinodorus e Cryptocoryne, ad esempio). Ma non tutte le specie che noi abbiamo in acquario ci riescono (le Anubias ad esempio).
I tessuti atti alla fotosintesi contribuiscono, nelle piante acquatiche, con una frazione, sul peso totale della pianta, molto maggiore rispetto a quelle terrestri, in quanto i tessuti per il sostegno e la difesa sono molto meno sviluppati. Cosicchè, nelle cellule dell’epidermide (quelle che ricoprono la superficie della foglia) delle piante acquatiche ritroviamo la clorofilla, che nelle piante terrestri è relegata nel mesofillo (in sezione, la zona centrale della foglia, compresa tra la pagina inferiore e quella superiore).
Le piante acquatiche, inoltre, possiedono un aerenchima molto più sviluppato rispetto a quelle terrestri. L’aerenchima è un tessuto parenchimatico con ampi spazi intercellulari in grado di far passare i gas. Cosicché le piante acquatiche riescono ad ossigenare meglio anche le parti sommerse che si trovano in zone povere di ossigeno e riescono ad accumulare la CO2 in tali spazi, per poi riutilizzarla anche quando l’acqua né è povera, ossia dopo mezzogiorno. Considerando inoltre il fatto che la diffusione della CO2 in acqua è 10.000 volte inferiore che nell’aria. Addirittura alcune piante (come il Papiro) accumulano la “preziosa” CO2 prodotta dalla respirazione e la riutilizzano (il 35%) per la fotosintesi. Altre piante invece, strettamente acquatiche e originarie di ambienti di acque dure, riescono ad utilizzare come fonte di carbonio anche gli ioni bicarbonato (HCO3-) disciolti in acqua e quindi crescere bene anche in ambienti poveri di CO2. Esempi in tal senso sono Ceratophyllum demersum, Egeria densa, Vallisneria spiralis e Hydrilla verticillata.
Un’altra questione da considerare è che, nelle piante acquatiche, i tassi di assimilazione di CO2 sono molto più bassi rispetto a quelli delle piante terrestri, per il semplice fatto che la superficie totale dell’area dei cloroplasti per unità di superficie fogliare è minore (2-6 cm2/cm2) rispetto alle piante terrestri; quindi viene ridotta la conduttività della CO2 e la sua diffusione nei siti di carbossilazione. Anche il numero totale di plastidi per unità di superficie fogliare è minore nelle piante acquatiche (2-6 106/cm2). In considerazione di ciò e visto che la perdita di acqua dai tessuti fogliari e le problematiche ad essa collegate non sussistono, nelle piante acquatiche regrediscono o scompaiono del tutto (ad esempio nel Ceratophyllum) gli stomi, ossia quelle aperture regolabili sulla pagina inferiore delle foglie che permettono o meno l’entrata e l’uscita dei gas (come CO2 e H2O), in modo da avere la massima diffusione della CO2 nei tessuti. Nelle piante galleggianti invece, gli stomi si sono spostati dalla pagina inferiore a quella superiore delle foglie.
Anche la densità cellulare delle piante acquatiche (1000 mg/dm2) è molto più bassa di quelle terrestri, in relazione all’aumento degli spazi intercellulari e dell’aerenchima, mentre, per lo stesso motivo, hanno uno spessore della foglia molto elevato (2000 µm).
Tutto questo a grandi linee, in modo da poter disporre di un ampio “canovaccio” su cui proporre spunti, interventi e discussioni.
Ora sta a voi decidere direzioni e livelli di approfondimento……..
Entropy non è in linea   Rispondi quotando


Vecchio 25-01-2010, 19:00   #2
Paolo Piccinelli
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-05 -05 -05
Andrea, mi laureo in biologia e torno!!!



Io vorrei proporre, prosaicamente e dal basso della mia ignoranza in materia, due spunti di discussione che mi hanno sempre interessato e che ritengo di utilità immediata:

- hai perfettamente spiegato che la durata del fotoperiodo è variabile a seconda del bilancio energetico della vasca (numero e tipo di piante, co2, fertilizzazione, potenza luminosa, temperatura, etc.): esiste un minimo/massimo per la durata del fotoperiodo oltre il quale è opportuno non scendere/salire e, in caso, perchè?

- chiaramente non esiste "lo spettro perfetto", ma quale conformazione di spettro e quale temperatura di colore ritieni più adatta all'acquario piantumato d'acqua dolce e, se è lecito, perchè? (facciamo magari una breve casistica?)




Infine, hai tutta la mia gratitudine per avermi fatto comprendere "il metodo Dennerle" di cui non mi ero mai spiegato la motivazione... avevo capito che come "antialghe" è un bluff, ma non capivo come un'azienda così seria lo proponesse

Quote:
E per questo inoltre che alcune case, tempo fa (ma forse ancora ora), proponevano la famosa interruzione del fotoperiodo, per far crescere meglio le piante e scongiurare il pericolo alghe (sempre in acquari “estremi”). Infatti, ponendo la vasca temporaneamente in penombra, non facciamo altro che fare in modo che l'O2 venga consumata ed il rapporto CO2/O2 si ''riassesti'' per ottimizzare al meglio la fotosintesi.
Ma tutto questo, vale per le piante come per le alghe. Quindi tale metodo può servire per migliorare ULTERIORMENTE la crescita delle (molte) piante, quando queste sono già in forma e le condizioni ambientali sono “dopanti” (tanta luce, tanta CO2, tanta fertilizzazione……). Ma non serve assolutamente per sconfiggere le alghe o guarire piante malconce.
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Paolo Piccinelli non è in linea   Rispondi quotando
Vecchio 25-01-2010, 19:37   #3
faby
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uuu è già cominciato

allora intanto bella spiegazione
L'unico dubbio è che per alcuni può essere un po' ostico vsto che si tirano in ballo tante definizioni e parti anatomiche, ma entropy credo sia a disposizione, e anche io, se ci sono problemi chiedete cosa significa, o cosa sono o cosa si intende...

Paolo, intanto metto qualcosa io, pi quando arriva entropy magari approfondisce:

Quote:
- hai perfettamente spiegato che la durata del fotoperiodo è variabile a seconda del bilancio energetico della vasca (numero e tipo di piante, co2, fertilizzazione, potenza luminosa, temperatura, etc.): esiste un minimo/massimo per la durata del fotoperiodo oltre il quale è opportuno non scendere/salire e, in caso, perchè?
allora per come è stato chiaramente spiegato prima, le piante si producono l'energia a partire da composti inorganici e luce, ma questo avviene durante le ore di luce (in parte è vero ma c'è un perchè), nel senso che solo durante le ore di luce la pianta può utilizzare l'energia luminosa per creare le molecole energetiche (ATP e NADPH) necessarie per i processi metabolici.
Durante le fasi al buio la pianta necessita di energia per vivere e quindi utilizza una via catabolica, utilizzano le molecole energetiche che si sono prodotte e le respirano per crearsi energia.
Per questo motivo le piane abbisognano di un certo numero di ore per accumulare abbastanza molecole energetiche da rendere il bilancio positivo o almeno paritario.
Purtroppo le piante sono variabilissime, esistono brevidiurne, longidiurne, neutrodiurne e tutte le vie intermedie, quindi non esiste una regola fissa che valga per tutte, però io reputo sempre pericoloso scendere sotto le 8 ore di fotoperiodo.
Come massimo invece il discorso è diverso, si entra nei problemi legati ai livelli di idratazione (ma in acqua il problema non c'è) ma anche alla fotorespirazione, questo perchè i processi alla luce sono notevolmente più veloci (quasi istantanei) dei processi al buio, questo provoca un'accumulo di molecole energetiche che serviranno successivamente nel ciclo di calvin che continuerà tranquillamente durante le ore al buio per esaurire le molecole DI ATP e NADPH accumulate e rendere la pianta nuovamente disponibile a continuare le nuove fasi alla luce.
Di conseguenza non c'è un minimo od un massimo empirico... c'è un range entro cui attenersi ed è sempre più o meno il solito... Considerando dalle piante brevidiurne alle longidiurne credo che il renge massimo sia da 8 a 14 ore...
Quindi vale sempre il nostro discorso delle circa 10 ore di illuminazione in vasca, fattore legato anche alle alghe.

Quote:
- chiaramente non esiste "lo spettro perfetto", ma quale conformazione di spettro e quale temperatura di colore ritieni più adatta all'acquario piantumato d'acqua dolce e, se è lecito, perchè? (facciamo magari una breve casistica?)
anche quì il problema è il medesimo, le piante non sono tutte uguali. Ad ogni modo come diceva entropy, la clorofilla assorbe esclusivamente la radiazione rossa a 2 diverse lunghezze d'onda, vi chiederete, e i fasci degli altri colori? bene alcuni vengono assorbiti altri riflessi. Dopotutto non possiamo assolutamente pensare che la foglia possa assorbire tutta la luce che gli arriva, si carbonizzerebbe. Quindi la radiazione rossa viene assorbita dalla clorofilla, la radiazione verde è in gran parte riflessa (per questo vediamo le foglie verdi), la radiazione gialla e arancio viene assorbita dai carotenoidi, la radiazione blu è anche assorbita da altri pigmenti (flavonoidi? ). Alcuni concorrono alle funzioni della clorofilla come i carotenoidi, il blu ad esempio è uno stimolatore dell' apertura stomatica.
Per questo motivo è utile avere un certo bilanciamento nell' illuminazione, in linea generale lo spettro luminoso migliore per la pianta è quello solare (ovvio no?) il nostro problema in vasca sono le alghe, per questo motivo riponiamo attenzione nella scelta degli spettri luminosi, però è un problema non strettamente correlato con la pianta, o meglio lo è ma parzialmente.
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faby non è in linea   Rispondi quotando
Vecchio 26-01-2010, 00:53   #4
Entropy
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Rileggendo tutto d'un fiato quello che ho scritto, devo ammettere che forse qualche termine e qualche argomento andrebbe chiarito più nello specifico. Inizio partendo dalle vostre osservazioni.
Occorre innanzitutto sottolineare ciò che forse io non ho fatto a dovere:
Originariamente inviata da Entropy
nella seconda fase della fotosintesi, chiamata ''reazione al buio'', perché la luce non è direttamente coinvolta (e non perché avvenga di notte, ndr)
Le due fasi della fotosintesi avvengono, in sequenza, CONTEMPORANEAMENTE, ma in posti diversi del cloroplasto. La fase luminosa avviene nei tilacoidi dei cloroplasti, che altro non sono che membrane cellulari poste una sopra l'altra a formare delle alte e lunghe "pile" (immaginate delle lunghe coperte una sopra l'altra e arrotolate nei cloroplasti).
La fase al buio invece (al BUIO perchè la luce non è DIRETTAMENTE coinvolta) avviene nello stroma del cloroplasto (tutta la zona acquosa in cui sono "immersi" i tilacoidi) e si chiama Ciclo di Calvin (o ciclo C3), in cui avviene la riduazione del carbonio da CO2 a carboidrati.
CONTEMPORANEAMENTE però, la pianta respira, come respiriamo noi, gli animali e tutti gli eucarioti (attraverso la glicolisi, il ciclo di krebs ed il trasporto degli elettroni, ndr). La differenza sta nel fatto che di GIORNO il bilancio netto tra fotosintesi (consumo di CO2 ed emissione di O2) e respirazione (consumo di O2 ed emissione di CO2) è a favore della produzione di O2, mentre di NOTTE è a favore della CO2 (perchè non c'è fotosintesi). Ma la pianta (come noi d'altronde) respira e consuma 24 ore su 24 (ovviamente con le dovute differenze).
Riguardo ai pigmenti e ai loro spettri di assorbimento c'è da precisare che la clorofilla a e quella b possiedono picchi di assorbimento SIA nel BLU che nel ROSSO, ma i centri di reazione (dei fotosistemi I e II) utilizzano l'energia a 680 e 700 nm (cioè rosso e rosso lontano). Cioè energie basse dello spettro solare. Ma perchè? Se osserviamo lo spettro solare, notiamo che c'è un picco nel blu-verde. Eppure le piante riflettono proprio la luce verde. Di nuovo, perchè? Il fatto è che la fotosintesi non dipende dalla QUANTITA' di energia luminosa ma dall'energia dei singoli fotoni e dalla loro quantità. E guarda caso le radiazioni blu possiedono la maggior quantità di enrgia, mentre quelle rosse sono in numero maggiore. E le verdi? Stanno in una via di mezzo, meno appetibile dal punto di vista termodinamico. Meno numerose delle rosse e meno energetiche delle blu.
Ma quando una foglia assorbe la luce, tutti i suoi pigmenti (clorofilla a, b, e vari carotenoidi) assorbono varie lunghezze d'onda, le cui energie vengono trasferite (mediante trasferimento di elettroni) dai pigmenti antenna fino al centro di reazione che FUNZIONA SOLO con energie (basse) di onde nel rosso o confrontabili con queste. E non potrebbe essere altrimenti, visto che nei vari passaggi fino ai centri di reazione, le energie dei fotoni si abbassano (Entropia, o seconda legge della termodinamica, e non è un'autocitazione......), cosicchè è più produttivo utilizzare energie comparabili con lunghezze d'onda nel rosso, Sarebbe cioè impossibile assorbire un fotone rosso e trasferirlo come fotone blu (a meno di CEDERE energia al sistema). Lo so, non è un concetto semplice, ma spero di essermi fatto capire.
Da tutto questo si deduce che il fotoperiodo è fortemente influenzato dalla densità del flusso fotonico, che è l'insieme del numero dei fotoni con la somma delle loro singole energie. Ma anche della disponibilità di CO2. E maggiore è il flusso fotonico, maggiore sarà la richiesta di CO2 per sfruttare l'energia della luce e compiere la fotosintesi. Ma ogni specie ha un tetto fotosintetico, cioè una velocità massima di fotosintesi (consumo di CO2 + assorbimento luce) oltre alla quale non va (ma ce n'è anche una minima....). Cosicchè il surplus di energia se lo prendono gli altri organismi presenti in vasca (alghe, cianobatteri,......).
Quindi, in linea di massima, direi di non scendere sotto le 7-8 ore di luce (con piante a bassa velocità di crescita ed assenza di surplus di cO2) e di non salire sopra le 12 ore (con forte luce, surplus di CO2 e tante piante a rapida crescita ad utilizzare il tutto). Tutto questo in linea teorica, perchè l'acquario, come ben sapete, non è una scienza esatta.
Stesso discorso per le lunghezze d'onda più appropriate per l'acquario d'acqua dolce. E' sempre difficile e rischioso generalizzare, ma, ricordando che la temperatura di colore è solo UN parametro con cui valutare la luce delle nostre vasche (ma, ahinoi, è la più diffusa ed immediata), direi di stare su un rapporto 6500:4000 di 2:1. Se però abbiamo a che fare con una vasca ambrata o ricca di acidi umici, un'aumento della temperatura verso lunghezze d'onda più blu potrebbe risultare vantaggiosa, visto che tali acidi assorbono proprio molta radiazione blu. Allo stesso modo, un acquario ricco di piante sciafile (cioè che in natura crescono all'ombra di altre piante, come nel sottobosco tropicale) richiederebbe temperature di colore sul verde-rosso (visto che in natura il blu è assorbito in gran parte dalle piante sopra quelle scaifile), mentre una vasca ricca di piante eliofile (amanti della forte luce e del pieno sole) preferirebbe picchi sul blu-verde (= spettro solare pieno). Tanto per fare qualche esempio.





Ora però vado a nanna, che tra lavoro, casa, moglie e figlia sono abbastanza cotto......
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Vecchio 27-01-2010, 19:48   #5
faby
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bene i livelli di approfondimento salgono

sì entropy mi pare che a riguardo delle domande poste da paolo siamo sulla stessa idea, tu hai precisato melgio, ma intendo che il succo porta alle stesse conclusioni.

senti però pensavo, che dici se facciamo uno schemino con i passaggi principali delle fasi luminose e la catena di trasporto degli elettroni? perchè magari risulta più chiaro e meno ostico...
certo con calma e non ci corre dietro nessuno, ognuno ha i suoi impegni, nel caso se ti va possiamo buttare giù l'idea di base e vedere come fare.

ciao!
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Vecchio 27-01-2010, 22:59   #6
Entropy
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Originariamente inviata da faby

senti però pensavo, che dici se facciamo uno schemino con i passaggi principali delle fasi luminose e la catena di trasporto degli elettroni? perchè magari risulta più chiaro e meno ostico...
Non vorrei che diventasse un approfondimento TROPPO fisiologico, in cui aggiungere troppi termini scientifici che richiedano altre spiegazioni e altre parentesi........
Comunque, nei prossimi giorni proverò a vedere se riesco a semplificare un pò le cose........

Per ora vorrei precisare dei concetti che mi erano sfuggiti ad una prima lettura:


Originariamente inviata da faby
come diceva entropy, la clorofilla assorbe esclusivamente la radiazione rossa a 2 diverse lunghezze d'onda
Ripeto: le clorofille a e b assorbono SIA nel BLU che nel ROSSO. Sono i fotosistemi I e II che hanno il maggior assorbimento a 700 (rosso lontano) e 680 (rosso)

Originariamente inviata da faby
la radiazione gialla e arancio viene assorbita dai carotenoidi
I carotenoidi assorbono nel blu e riflettono il giallo ed il rosso. Il beta-carotene (un carotenoide) ad esempio è color arancio, perchè riflette tali colori. Quando la foglia è verde, il colore della clorofilla maschera e nasconde il colore dei carotenoidi. Ma in autunno le foglie diventano gialle e rosse perchè la clorofilla viene riassorbita dalla pianta (è troppo preziosa e dispendiosa energicamente per essere sprecata), mentre i carotenoidi rimangono e risultano così finalemente visibili. Le foglie fortemente illuminate diventano rosse proprio perchè aumenta la concentrazione dei carotenoidi (nei cloroplasti e nei cromoplasti) che assorbono la radiazione blu, perchè quella più energetica e quindi più pericolosa per il fenomeno della fotossidazione (danno cellulare da radicali liberi).
Le lunghezze d'onda nel giallo e nel verde sono invece assorbiti, ad esempio, dalle ficobiline, presenti esclusivamente nelle alghe rosse e nei cianobatteri.

Originariamente inviata da faby
la radiazione blu è anche assorbita da altri pigmenti (flavonoidi? :-/ ).
La radiazione blu è assorbita, come detto prima, dalle clorofille a e b e dai carotenoidi.
I flavonoidi, invece, sono composti fenolici che servono a diversi scopi, a seconda del gruppo a cui appartengono:
- antocianine, per la pigmentazione di fiori e frutti, riflettendo i colori rosso, rosa e blu (l'uva rossa, il mirtillo e la rosa, ad esempio)
- flavoni e flavonoli, presenti nei fiori e nelle foglie per difendere la pianta dai raggi UV, visto che assorbono proprio tali lunghezze d'onda. Tali pigmenti sono presenti anche nelle radici di molte piante come regolatori ormonali e in alcune (leguminose) come regolatori genici dei batteri azoto-fissatori.
- isoflavonoidi, con funzioni antimicrobiche ed insetticide.
Solo per citarne alcuni.
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Vecchio 27-01-2010, 23:07   #7
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Non vorrei che diventasse un approfondimento TROPPO fisiologico, in cui aggiungere troppi termini scientifici che richiedano altre spiegazioni e altre parentesi........
Comunque, nei prossimi giorni proverò a vedere se riesco a semplificare un pò le cose........
ok no problem, anche se credo che lo schema sia più semplice...

per i carotenoidi sì hai ragione, avevo le farfalle in testa mi sa quando l'ho scritto perchè se li vedi gialli e rossi e ovvio che quelli li riflettono... hai fatto bene a correggere, scusa...

per la storia dei flavonoidi non mi ricordavo benissimo e per quello l'ho scritto, non avevo il tempo di andare a pescare gli appunti di fisiologia...

io avrei qualche altra idea interessante carina da approfondire, ma mi sa che è meglio non aggiungere quì, forse è il caso di aprirne uno apposito non so... Pensavo di inserire i vari elementi nutritivi e relative funzioni in modo da vedere anche perchè servono certi elementi e perchè quindi succedono certe cose alla piantre quando mancano o sono in eccesso...però non so...

ciao
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Vecchio 27-01-2010, 23:52   #8
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mi sono permesso di creare un piccolo schema della prima parte delle fasi di fotosintesi, riguarda le fasi alla luce che si instaurano nel cloroplasto nei fotosistemi 1 e 2.



I fotosistemi sono complessi proteici transmembrana del tilacoide (membrana ripiegata dei cloroplasti), sono caratterizzati dalla formazione del complesso antenna in cui le molecole di clorofilla cedono energia per risonanza a una molecola di clorofilla centrale detta centro di reazione. Questa molecola si eccita a causa della radiazione di rosso a 680nm e scarica energia cedendo un elettrone, questo "trrasporta energia" e passa attraverso il complesso del citocromo, un altro complesso proteico in cui si verificano una serie di ossidoriduzioni a cascata che portano al centro di reazione del fotosistema 1. Questo utilizza l'energia luminosa a 700 nm si eccita e perde un alettrone che colma con l'arrivo di quello del fotosistema 2. l'eletrone serve per ridurre il NADP+ in NADPH e quindi carico di energia che servirà nelle reazioni successive.

Quindi i due fotosistemi lavorano a catena, il fotosistema 2 è di tipo ossidante, ossida la molecola di acqua per trarne e- e scarta ossigeno (fotolisi dell'acqua), il fotosistema 1 è invece riducente, riduce il NADP+ in NADPH carico di energia.
Manca la parte relativa alla ATPasi, però credo basti sapere che il NADPH serve per produrre ATP attraverso un particolare enzima in grado di utilizzare l'idrogeno scartato nelle fasi alla luce come energia per produrre ATP, un'altra importantissima molecola energetica.

per ora spero di aver detto l'essenziale, se qualcusno vuole aggiungere qualcosa

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Direi che va bene faby......
Ma a questo punto opterei anche per completare il tutto.
Cosicchè, per una maggiore comprensione di tutti i processi legati alla fotosintesi (dalla luce alla produzione di saccarosio e amido) allego anche un mio schizzo modificato (perdonatemi, è a matita), in accordo a Taiz & Zieger 1996.
Spero che questo renda più comprensibili le reazioni coinvolte.....
Ma se qualche passaggio o termine dovesse risultare poco chiaro, chiedete pure.... son qui apposta......
<br>

Ultima modifica di Entropy; 27-03-2010 alle ore 23:01.
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Vecchio 28-01-2010, 23:54   #10
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ah bene, stavo per mettere anche io questo schema, ma siccome avevamo detto di rimanere sul semplice ho preferito l'altro, cmq questo è sicuramente più completo hai messo anche il ciclo di calvin, perfetto

al massimo se vuoi si può riportare con calma al pc, se dovesse servire.

P.S ho come l'impressione che però siano spariti tutti

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