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Vecchio 22-03-2005, 10:39   #3
Dario
Avannotto
 
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Probabilmente il vero grande limite di noi occidentali è la necessità di “catalogare” a tutti i costi.
E’ insito nella nostra natura, dobbiamo a tutti i costi collocare qualcosa (e spesso anche qualcuno) all’interno di un prontuaruio o formulario.
Allora ci creiamo l’alibi della pietra o della pianta solitaria, piuttosto che del prato o dello spazio vuoto.
Si accennava al Wabi Sabi. Ennesima testimoniana di quanto dico.
Il vocabolario italiano non trova un termine equivalente (e neanche un equipollente), forse potremmo dire “serenità” ma il termine è assai riduttivo, così come è riduttiva la traduzione del termine Bonsai che in italiano suonerebbe più o meno come “pianta in vaso”.
Torno quindi al mio personalissimo parere. Il Bon Kei, il Suiseki, il Wabi Sabi, il Bonsai… è sufficiente riprendere pedissequamente le regole per la loro realizzazione per riuscire a replicare un sentimento e una filosofia così forti e radicati nella cultura orientale?
Credo di no. Affermare il contrario significherebbe mortificare la nostra intelligenza e la cultura orientale tutta.
Anni fa conobbi Otzumi Terakawa e la moglie Anako, due grandi appassionati dell’arte bonsai.
Otzumi mi raccontava di quanto importante fosse la scelta del vaso per un bonsai.
“Lo so perfettamente”, rispopndevo io. Ma non avevo capito nulla. Per me il vaso era solo forma, altezza e colore, per lui aveva un cuore. Sin da ragazzo il suo mentore, Masahiko Kimura, forse il più grande bonsaista al mondo dopo John Josho Naka, lo abituava a riconoscere la qualità dei vasi bendandolo. I vasi venivano sotterati per anni, e Otzumi, al momento dell’utilizzo ne riconosceva la qualità semplicemente al tatto. Ogni vaso veniva poi “accoppiato” ad una pianta ben determinata.
Pensate ancora che il Bonsai sia solo un albero in vaso?

Orbene, proviamo a realizzare un acquario di piante e facciamolo secondo i riferimenti che preferiamo, ma non fossilizziamoci a cercare a tutti i costi un etichetta perché, ed è parere assolutamente personale, rischiamo di cadere nel banale.
Io amo gli acquari di piante, li definisco plantacquari, ma potrei anche chiamarli olandesi, poco cambierebbe per me.
Ogni acquario è testimone del cuore di chi lo realizza, della sua passione, del suo stato d’animo, della sua ricchezza interiore. Anche tuto questo, forse è ZEN.
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Dario non è in linea  
 
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