Il discorso è delicato perchè la scadenza, tranne per il latte e le uova fresche dove esistono precisi limiti di legge, viene stabilita dai produttori in base al tipo di materia prima, al trattamento di conservazione, alle condizioni climatiche e ad altri elementi e non viene pertanto definito "data di scadenza" ma "intervallo di scadenza".
Il problema e' abbastanza complesso da risolvere e pone comunque l'accento su un aspetto delicato della normativa alimentare che, a parte le rare eccezioni summenzionate, lascia piena liberta' al produttore di stabilire l'intervallo di scadenza.
Dopo l'intervallo non e' piu' garantito il livello ottimale di igiene e di qualita' del prodotto. La legge non lo precisa, ma l'indicazione si trova sugli alimenti che si conservano meno di 3 mesi. La dicitura risulta meno severa: "Da consumarsi preferibilmente entro il ..." e la data puo' essere espressa precisando solo il mese e l'anno. L'indicazione non e' da intendersi come un termine perentorio, come avviene per la data di scadenza, ma un periodo di ottimale durata, oltre la quale l'alimento e' quasi sempre ancora commestibile
Si corrono rischi consumando un alimento oltre la data di scadenza? Si', se il cibo riporta la data di scadenza, perche' dopo l'intervallo non e' garantita la qualita' igienico - sanitaria. Il piu' delle volte, quando l'alimento e' scaduto si avverte un degrado organolettico oppure si nota una modifica del colore, causata da batteri presenti, ma in quantita' ridotta, al momento del confezionamento. Questi microrganismi si moltiplicano e dopo la scadenza possono alterare il sapore, l'odore o il colore.
Non ci sono invece problemi per i cibi confezionati che si mantengono 1-2 anni come i secchi che riportano l'intervallo di scadenza. Se la conservazione è stata fatta correttamente e l'igiene è stata rispettata il consumo di alimenti scaduti da due tre mesi non comporta alcun rischio sanitario ma può risultare alterato l'apporto nutritivo.
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